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venerdì 3 maggio 2013

Naufragare con la nuora su una isola sperduta...


Gita in motoscafo. Stavo seduto a poppa, al fianco avevo mio figlio Carlo
Entrambi impugnavamo la canna da pesca, canna si fa per dire, visto che era super leggera e costruita in una lega speciale, che utilizzava addirittura la Nasa per fabbricarci i satelliti

La mia strattonava. Sicuramente aveva abboccato all’amo qualche pesce di grossa taglia. Lo sentivo tirare con grande energia, mentre tentavo di avvolgere la lenza. Era forte e tenace.
Cercava di resistere con tutte le sue forze. Carlo mollò la sua canna e, afferrando la mia, mi aiutò ad impedire al pesce che mi trascinasse in acqua con tutto il seggiolino, sebbene fosse saldamente attaccato al pavimento.

Era di grossa taglia. Mia moglie Elena, uscì dalla cabina e ponendosi dietro di me, m’incitava a tirarlo in barca. A lei  si unirono, Angela, mia nuora, ed Elisabetta, la nipotina. Piccola si fa per dire, perché il vezzeggiativo non corrispondeva affatto alla realtà. Perché era un’adolescente di quattordici anni, ma aveva già un aspetto adulto, e direi, formosa, con tutti gli attributi al posto giusto.

Carlo mi aiutò a lottare contro la forza bruta del mare. Si sa che l’uomo alla fine vince. Così, dopo immani sforzi, sostenuti anche dal tifo delle donne, siamo riusciti ad issare a bordo il grosso pesce.
Grande fu la sorpresa, appena vedemmo l’animale acquatico che si agitava come un folle sul parquet lucido della barca, cercando di sfuggire alla cattura.
Era un pesce spada, il primo che vedevo vivo. Faceva impressione con il suo lungo muso. Si agitava con la testa, come se cercasse un nemico da sfidare in singolare tenzone.

Alla fine avemmo la meglio. Dopo la foto di rito, suo malgrado, divenne la pietanza principale del nostro pranzo. La carne era abbondante, per cui, parte finì nel congelatore di bordo.

Il motoscafo, un Heavy weather, scivolava sulle onde a tutta velocità, a volte planando sull’acqua, lasciando dietro di se una scia di spuma bianca, che tagliava l’azzurro mare dei caraibi. Lo avevamo preso a noleggio, presso un cantiere di Forte Francia, la capitale della Martinica Francese, dove stavamo trascorrendo un periodo di vacanza.
Forse ci eravamo spinti troppo a sud. Dalla lettura delle carte nautiche avevamo capito che era meglio tornare indietro.
Carlo, era un ufficiale della marina e sapeva il fatto suo. Infatti, si impossessò della cabina di comando lasciando capire che non voleva interferenze. Procedevamo spediti verso Forte Francia.

Elena:
“Vado a portare il caffè a Carlo!

Quel maledetto giorno, con Elisabetta, stavamo seduti a poppa. Ridevamo e scherzavamo sulla pesca miracolosa, quando si udì un forte boato. Corremmo verso la cabina di comando. Le fiamme avevano già invaso il locale, e non si riusciva a distinguere nulla. Mia moglie Elena e Carlo erano imprigionati in quello inferno di fuoco, morti sicuramente.
Angela uscì dalla cuccetta, terrorizzata.

“Angela, prendi quello che puoi! Dobbiamo abbandonare la barca! Il fuoco tra un po’ avvolgerà tutto!
“Carlo!
“ Papà !
“No! Fermi! Restate qua! Non c’è nulla da fare! Dobbiamo scappare via, subito! adesso che siamo in tempo! Presto!

Erano entrambe sotto shock.

Dovevo fare qualcosa e velocemente. Gettai in acqua il canotto di salvataggio, che appena toccò la superficie esplose, aprendosi e auto gonfiandosi.
Afferrai Elisabetta e la lanciai in acqua e poi, con la forza di un leone, feci la stessa cosa con Angela.
Una volta a bordo del canotto, remando veloce mi allontani il più possibile dalla barca, che era diventata un rogo incandescente.

Appena raggiunta la massima distanza di sicurezza,  ho guardato in preda alla disperazione la barca, mentre era avvolta dalle fiamme, e la vidi affondare in un gorgo d’acqua spumeggiante, insieme ai resti di Carlo ed Elena.
Alla fine, restò solo una colonna di fumo nera a testimoniare la sua esistenza. Angela ed Elisabetta, se ne stavano abbracciati. Piangevano. Erano in preda al panico. Non avevo nulla da dire per consolarle. Le lasciai sfogare, nel loro dolore.

Tuttavia, nel disastro, avemmo anche un pizzico di fortuna perché, lungo la linea dell’orizzonte, avvistai la sagoma di un’isola, era a circa un centinaio di metri. Non sembrava molto grande, ma in quel momento rappresentava la nostra salvezza.
Vogai con tutte le mie forze verso quella meta. Appena arrivammo vicino alla spiaggia, scesi in acqua, e nuotando trascinai il canotto, fino a, quando non sentì i piedi toccare il fondo sabbioso.
Alla fine, esausti, ci ritrovammo tutte e tre distesi sulla sabbia. Eravamo diventati dei naufraghi.

“Ora, tutte e due, state bene a sentire! Dobbiamo sopravvivere! A tutti i costi! Il dolore è grande, ma dobbiamo superarlo e andare avanti! Vedrete che verranno a cercarci! La Martinica non è molto distante!
“Papà come facciamo! Abbiamo perso tutto! Questa isola potrebbe nascondere insidie pericolose!
“Lo so! Ora vi chiedo di restare qui! Io vado a fare un sopralluogo! L’isola non è grande! Quella montagna mi fa sperare che forse c’è anche acqua dolce!
“Nonno! Vengo con te!
“No! Resta con tua madre! Sarei più tranquillo sapendoti qui al sicuro!

Mi aggirai tra alte felci e foreste di palme. Testai il terreno. Era umido, segno che sotto scorreva l’acqua. La montagna era molto alta, per cui non mi azzardai a scalarla. Trovai un sentiero che aggirava il promontorio. Ad un certo punto vidi qualcosa che poteva servire al caso nostro. Una grotta, ampia e profonda. Era un rifugio perfetto. Vicino, scorreva anche un piccolo corso d’acqua, che, prima di fluire nel mare, formava un’ampia laguna. Avevo una gran sete e ci immersi subito la bocca. Era dolce.

Eravamo naufragati in mutande. Angela ed Elisabetta, indossavano solo il costume da bagno ed io, ero in pantaloncini. Era la notte che temevo di più, nonostante che ci trovassimo nei caraibi, perché la temperatura scendeva. La scoperta della grotta, pertanto, era stato un vero miracolo.
Il canotto era equipaggiato con un borsone, contenente un coltello svizzero, una pistola lancia razzi, alcune borracce e coperte termiche, confezionate in buste sottovuoto. Inoltre c’era una scorta di penicillina a altri disinfettanti e tubetti di latte liofilizzato. Ma, quello che mi fu più utile in quel momento, era l’accendino. Mi consentì di accendere un fuoco nella grotta.

Ci sistemammo alla buona. Accesi un fuoco anche sulla spiaggia ed ogni tanto andavo ad attizzare il falò per tenerlo acceso. Speravo che i ricercatori potessero vederlo dall’alto.
Passarono i giorni. Ancora non avevamo visto nessun aereo sorvolare l’isola. Era un brutto segnale, perché voleva dire che il soggiorno forzato sarebbe stato più lungo di quanto avevo sperato.
Mi resi conto anche che eravamo naufragati su isola situata al di fuori delle rotte internazionali.

Per fortuna il cibo non mancava. Un po’ alla volta avevamo raffinato le tecniche di pesca e caccia ai volatili, che vivevano sull’isola e ci fornivano anche le uova. Inoltre, oltre alle noci di cocco, trovai delle bacche commestibili. Le radici di una pianta sostituirono le patate. Alcune erbe erano buone da bollire.

Il problema dei vestiti fu risolto intrecciando le foglie di palma tenera. Messe insieme, riuscivano a coprirci adeguatamente dai potenti raggi di sole e dal freddo notturno.
Da ragazzo ricordo di essermi appassionato allo sceneggiato di Robinson Crusoe. Per certi aspetti, alcune difficoltà le avevo affrontate e risolte proprio ispirandomi al protagonista di quel film.
La grotta, giorno dopo giorno, era diventata un luogo accogliente.

Fui sorpreso, nello scoprire, che avevo delle buone attitudini ai lavori di boy scout. Ero stato il contabile di una grossa azienda. Se quella vicenda non fosse stata funestata dalla tragica morte di mia moglie e Carlo, quella vita primitiva mi avrebbe senza altro appassionato. Stavo sperimentando personalmente qualcosa che aveva sempre immaginato.

La sopravvivenza di Angela e di mia nipote, dipendeva dalle mie capacità. Per questo, dentro di me trovai una forza di volontà che non avevo mai espresso.
I giorni passarono; poi furono mesi e alla fine anche anni. Dai miei calcoli eravamo naufragati da almeno quattro anni.

Elisabetta era cresciuta. La vita selvaggia gli aveva forgiato una solida muscolatura. Era diventata una ottima cacciatrice e non rientrava mai a mane vuote. Sembrava che fosse sempre vissuta in in quella isola, e nuotava come un delfino.

Durante quegli anni, per quanto mi riguardava, la vicinanza della nuora, e il fiorire di mia nipote, dal punto di vista fisico, non mi hanno mai dato problemi.
La tensione del disastro, la preoccupazione di dover sopravvivere alle forze brute della natura, avevano annullato ogni impulso sessuale.

Ma fu vana illusione.

Il destino in ogni modo è capriccioso, e ci mette sempre alla prova facendoci affrontare situazioni nuove ed imprevedibili. Così quello che non era successo in quattro in anni, capitò in un istante. I sensi si destarono dal lungo letargo.

Prima di raccontarvi l’episodio che cambiò la vita dell’isola, è necessario dire che l’organizzazione per la sopravvivenza, aveva raggiunto un ottimo stato ed era tale da permettere di ricavarci anche del tempo libero. Ciò fu possibile perché le donne erano diventate più intraprendenti e autonome. Si erano accollate parte degli impegni che prima svolgevo da solo, anche quelli più faticosi.

Come dicevo, in uno di questi momenti di libertà dalle fatiche, stavo ritornando dalla spiaggia, sulla strada che costeggiava la laguna, quando, vidi una scena che mi lasciò letteralmente senza fiato. Quello fu il principio.


 
Elisabetta, era in piedi, in mezzo al lago. Il livello dell'acqua non superava il bacino. Si stava lavando. L’avevo vista tante volte farsi il bagno. Ma, quel giorno, si comportava in maniera insolita e tale da attirare la mia attenzione, era un atteggiamento inaudito per lei, che cambiò il modo di percepirla. 

Non si stava solo lavando. Si stava accarezzando il seno. Le sue mani erano chiuse a coppa e ghermivano le grosse tette. Teneva gli occhi chiusi e si mordeva le labbra della bocca. Poi, lentamente, calò una mano verso il basso, lambendo il ventre, e scendendo giù, s’infilò come un serpente nello scoscio.


La vidi nettamente, mentre introduceva la mano nelle sue parti intime. Immaginai subito le sue dita affusolate, immerse nelle fenditure delle labbra della fica, intente a stimolare la vulva vaginale. Era la prima volta che mi trovai a riflettere sulle intenzioni morbose di mia nipote e sulle finalità di quel gesto. Elisabetta si stava masturbando per darsi un piacere sessuale. Quello atto lascivo, era l’espressione palese che la nipotina aveva raggiunto la maturità di una donna adulta.

Improvvisamente, il mio corpo cominciò a vibrare. Era come se mi fossi attaccato ad un martello pneumatico. Sentivo il cazzo che si stava svegliando dal lungo letargo, si era destato per accontentare il supremo stimolo, quello connesso alla sua funzione sessuale.

Osservavo le evoluzioni erotiche di mia nipote e nello stesso tempo sentivo il nerbo che cresceva fino a diventare duro e pulsante. In me si era risvegliato l’impulso erotico. Il cazzo, come un’antenna aveva percepito i pensieri di Elisabetta, e si era destato, stavolta no più per un semplice istinto fisiologico, ma per una idea pazzesca che stava germogliando nella mia testa.

Mi venne naturale introdurre la mano dentro il rudimentale indumento di palma e palparmi il cazzo, per lenire le sofferenze che l’erezione stava provocando. Intanto Elisabetta si strizzava un seno e con la bocca stava succhiando un capezzolo, nero e turgido, mentre l’altra mano si era stabilmente fissato nello scoscio. Agitava il corpo, sembravano fremiti di febbre, mentre le sue mani stimolavano le tette e la fica. Era troppo per me.

Vedere un giovane corpo forgiato dalla natura, perfettamente sviluppato, scosso dagli impulsi sessuali, mi dava dell’emozione incontenibile; com’essere colpiti da una folgore.
Non ci pensai due volte. Estrassi il cazzo e cominciai a menarlo con frenesia. La mano iniziò a muoversi velocemente, facendo scivolare la pelle sulla massa dura. Il cazzo aveva raggiunto la sua massima rigidezza.

Come un lupo famelico scrutavo il corpo di Elisabetta, con avidità, soddisfacendo nello stesso tempo la voglia di fica che stava impregnando la mente, e mentre mi masturbavo fantasticavo di sostituire la sua mano con il mio cazzo.
La fissavo con libidine, concentrandomi su ogni particolare del suo corpo. Il culo era rotondo e bene diviso dalla scoscio, nel quale si notava la sublime nicchia vaginale. Scura come la pece.


Elisabetta si era piegata in avanti. Esibendosi in una posizione superba. Non ero molto distante da lei, quindi, la sentivo nettamente, mentre ansimava. "hooooooooooo.... 
Le sue dita la stavano facendo godere. Quel pensiero era troppo forte per me. Eccitato come un cavallo da monta, diedi una serie di colpi, in rapida successione, esaudendo gli impulsi dell’orgasmo che crescevano aggredendo i coglioni, quindi strinsi le natiche, e mi lasciai andare ad una poderosa sborrata. Pensando a lei, Elisabetta, alle sue cosce aperte e alla figa pelosa esposta alla mia libidine incestuosa.

Mi resi conto che la convivenza, da quel giorno, sarebbe stata un inferno. La cara nipotina mi aveva acceso i riflettori dei sensi ed erano tutti orientati su di lei.
Mai, come quel giorno, avevo sperato che i soccorsi arrivassero il più presto possibile.

Ma le sensazioni estreme non erano ancora finite.
Angela si era costruito una specie di bauletto. Dentro teneva un diario, erano foglie essiccate su cui, con un inchiostro rudimentale, aggiornava la data, e raccontava quello che succedeva.
Una mattina, mentre era a pesca con Elisabetta, mi venne la voglia di leggere quello che aveva scritto. Aprì il coperchio di corteccia e rovistai tra le sue cose. Quando lo vidi mi prese un colpo. Era un oggetto insolito. Vederlo lì, era una cosa assurda. Ma, come diavole era arrivato?

Lo presi in mano e lo soppesai. Era grosso, lungo e liscio. Pensai al suo uso, fantasticando nel mio campo visivo la cara nuora in azione che, come una cagna in calore, si stimolava la fica con quel grosso fallo. Ma come diavolo c’era arrivato lì?

Lo annusai e mi pareva di sentire l’aroma della sua fica. Quel pensiero mi fece venire un moto improvviso, ed il cazzo diventò duro. L’erezione mi creò alcune difficoltà. L’indumento di palma, non era sufficientemente ampio da celare la grossezza del cazzo. Dovevo evitare di farmi trovare in quello stato. Uscì di corsa dalla grotta e mi ficcai nel palmeto, fatti pochi passi, appoggiai con la schiena al tronco di una palma, iniziando a stimolarmi il nerbo.

Stavolta l’oggetto dei miei pensieri era la cara nuora. All’apice del godimento, quando i conati di sborra divennero irresistibili, dopo una sequenza veloce, di su e giù, godetti con la fisima della sua fica in testa. 
Stavo riprendendo fiato, quando, notai che alcune foglie di palma si erano mosse. Guardai in quella direzione, ma non vidi nessuno. Eppure, avevo avuto l’impressione di essere stato spiato.

La conferma l’ebbi quella sera stessa, infatti, Elisabetta mi guardava in un modo che mai primi di allora, aveva fatto. 
Durante la cena, l’ho sorpresa più volte nell’atto di fissarmi il grembo. Nei suoi occhi c’era una strana luce, era come se, dentro di se, qualcosa la stesse tormentando. Era pensierosa. Diversamente dalle altre sere rideva poco e non seguiva i discorsi.

“Tesoro che hai? sei stanca?

Anche Angela aveva notato quello strano atteggiamento.

“Un po! Vi dispiace se vado ad dormire? Stasera non ci riesco a stare sveglia!
“Certo tesoro! Vai a riposarti!

Quando restammo da soli.

“Il pensiero che una bella ragazza come lei, stia perdendo il suo tempo più bello su questa isola schifosa! Mi fa impazzire! Ma perché i soccorsi non sono ancora arrivati! Secondo me hanno smesso di cercarci! A sti bastardi non gliene frega un cazzo di noi italiani!

Angela era proprio disperata.

“Calmati!  Io non ho ancora perso la speranza! Vedrai!

In preda alla disperazione, s’inginocchiò davanti a me, e appoggiandosi sul mio grembo, si lasciò andare ad un pianto liberatorio. La consolai come potevo, accarezzandogli i lunghi capelli neri.
A memoria, quello fu il primo contatto fisico in quattro anni.

“Su! Non lasciarti prendere dalla disperazione! Dobbiamo essere forti per Elisabetta!
“Si papà hai ragione tu!

Si asciugò le lacrime e iniziò a portare i piatti di legno nel lavandino, ricavato nell’incavo di un tronco.
Mi soffermai più volte a guardarla, mentre andava avanti e indietro, attentamente. 
Prima di allora, dopo che aveva sposato Carlo, tra noi non c’era mai stato un rapporto così intimo. Era una ragazza timida e soprattutto educata alla vecchia maniera. Molto rispettosa. Infatti, la sua gentilezza era un ostacolo insormontabile per la realizzazione di quello che avevo in mente. La guardai di nuovo, con rammarico.
Aveva da poco superato i quaranta anni, nonostante avesse un corpo robusto, era una donna piacente e sensuale. I fianchi non erano più stretti, ma in compenso aveva mantenuto un bel aspetto, il culo era grosso e rotondo, le cosce robuste, ed il seno prosperoso.

Come al solito quei pensieri perniciosi e aggressivi, accendevano la mia fervida fantasia, ormai sconvolta dalle ultime vicende ero diventato facilmente incline all’eccitazione.
In quello ambiente naturale, i sensi si erano liberati dagli inquinamenti della vita cittadina. Erano diventati più sensibili e attenti a tutto.

Ero un sessantaquattrenne, ma il mio corpo era ancora tonico e forte come quello di un mulo. Anzi, la permanenza sull’isola mi aveva rinvigorito le membra. Mi sentivo forte come un toro.

Guardavo mia nuora e fantasticavo sul suo grosso culo, immaginando il mio cazzo duro, mentre razzolava felice in mezzo alle chiappe e alle labbra della sua fica pelosa. Quei pensieri erano talmente vividi, che sentivo vibrare lo scroto. Il cazzo era diventato duro come la roccia della caverna. Lo sentivo spingere con energia, contro il tenue indumento di palma, desideroso di librarsi in aria borioso e felice di ficcarsi nella fica di Angela.



“Papà! Vado ad dormire! Prima però scambio due chiacchiere con Elisabetta! L’ho vista affranta!
“Io vado alla spiaggia. Ad alimentare il fuoco! Le nuvole che ho visto all’orizzonte, non promettono nulla di buono! Ci vediamo dopo!

Mi avviai verso la spiaggia. Il posto dove avevamo accesso il falò era diventato un vero camino. Era isolato dal resto della vegetazione con un muretto di pietre.  Alcuni tronchi servivano alla bisogna come sedili.

Mentre alimentavo il fuoco pensavo ad Angela. Forse tra noi poteva nascere un legame serio. Eravamo entrambi vedovi. In quei quattro lunghi anni ci eravamo conosciuti abbastanza e la stima era reciproca. Però non era scattata la scintilla del desiderio.
Più pensavo a lei e più immaginavo il rapporto che aveva con quel cavolo di manufatto di plastica. Lo vidi come un rivale. Fantasticavo sul quel dannato artefatto. Chissà quando volte lo usava? Forse, quando, restava nella caverna, da sola. E come diavolo era arrivato lì? Domanda che si ripeteva in continuazione.

Tra un pensiero e l’altro, mi ritrovai nuovamente con il cazzo in tiro. Non ci pensai due volte a tirarlo fuori e a spararmi l’ennesima sega. Stava diventando un’abitudine.

Così con le gambe spalancate ed allungate verso il fuoco e la mano saldamente attaccata al cazzo, mi masturbai facendo scivolare la pelle su e giu.
In quei momenti oltre ad Angela pensavo anche al quel diavolo di Elisabetta, ripercorrendo con la memoria gli attimi in cui si era accarezzato le tette e la fica.
Quei pensieri erano troppo eccitanti per resistergli oltre, così, con pochi colpi arrivai subito all’orgasmo, scaricando la morbosità che mi stava bruciando l’anima. Riversai sulla sabbia, illuminata dal fuoco, una copiosa sborrata bianca.

Quella volta rientrai a notte fonda. Il fuoco della caverna illuminava le volte, lasciando al buio le nicchie in cui erano state approntati i giacigli. Elisabetta si era girata su un fianco. Nella tipica posizione fetale. Le fiamme gialle riverberavano sulla sua pelle abbronzata. Il culo era perfettamente schiarito dal fuoco e si poteva ammirare in tutti i particolari. Una visione da infarto. Ma quello che seguì era ancora più sconvolgente.

Angela non si era accorta del mio rientro.
Il fuoco la illuminava parzialmente, ma era sufficiente per farmi intuire quello che stava combinando.

Era sdraiata supina, completamente nuda. Aveva le gambe flesse e allargate, come se stesse partorendo. Qualcosa si muoveva tra le sue cosce. La sua mano lo brandiva saldamente. Aguzzai lo sguardo e mi accorsi che quel diavolo stava usando il fallo.

Quella scena fortemente erotica fece traboccare il bicchiere dei miei sensi.
Mi eccitai come un toro. Mi tolsi subito i vestiti di palma. Rimanendo nudo, con una possente erezione, che spuntava in modo presuntuoso dal mio grembo. Gattonando sulle ginocchia mi accostai a lei. La trovai completamente in estasi. Stava con gli occhi chiusi a godersi le performance del suo prezioso fallo artificiale. Quel diavolo scivolava silente nel pertugio della sua fica pelosa.

Dopo che mi ero messo al suo fianco, posai la mano sulla sua e cominciai a spingere il vibratore dentro la vagina, in profondità. Nel momento in cui avvenne il contatto fisico strabuzzò gli occhi. Repentinamente gli misi una mano sulla bocca e gli feci segno di stare zitta. Mi guardò stralunata. Era sicuramente imbarazzata e sorpresa di vedermi lì. Incalzai la situazione e gli baciai le tette, ed il collo. Dopo alcuni secondi tolsi la mano dalla bocca. Restò in silenzio. Mi avvicinai al suo orecchio e le sussurrai:

“Non pensi che un cazzo vero sia meglio di questo accidenti di strumento?

Non rispose, ma continuò a fissarmi senza fiatare. I suoi occhi esprimevano imbarazzo e perplessità. Presi in mano la situazione. Rimossi il grosso ingombro dalla vagina.
Gli andai sopra. Lei non fece alcuna resistenza. Sembrava paralizzata. Brandendo il cazzo come l’elsa di una spada, schiacciai la grossa cappella tra le labbra infiammate. Fu gioco facile. Il fallo aveva già abbondantemente lubrificato l’ingresso con gli effluvi vaginali secreti. Scivolai dentro che era una meraviglia.


Finalmente ero tra le cosce di mia nuora. Era un piacere immenso avvertire la sua pelle accaldata. Percepivo i tremori, delle sue membra che reagivano alla imprevista invasione del mio cazzo. Gli misi una mano sulla bocca e lentamente presi a muovermi dentro di lei. Man mano che il cazzo scivolava in profondità, sentivo il suo corpo sciogliersi come il burro. La tensione scemava dolcemente. Ad un tratto sento le sue mani, avventarsi come artigli sulla mia schiena, placcandomi le spalle. Da sotto mi arrivano i fremiti del suo corpo. La sentivo partecipare e spingere verso di me. Le sue gambe si alzarono in aria serrandosi attorno alla mia vita. Sorrideva felice, facendomi capire che aveva gradito il mio assalto. Era diventata la mia donna. Mi sussurrò:

“si si si mmmmm si il cazzo è meglio di quello mmmmm

Continuai a chiavarla con grande slancio e per parecchi minuti. Il poco spazio non ci permetteva di cambiare posizione. Elisabetta dormiva a pochi metri da noi e non era il caso di sbizzarrirci in atti iperbolici complicati. Una bella scopata alla missionaria era più che sufficiente per rompere il ghiaccio, consapevoli che le porcate, poi, le avremmo fatte in altri posti, e senza tanti problemi. Mentre chiavavo, ogni tanto, mi andava l’occhio sul culo di Elisabetta. Non vi dico le sensazioni che ho provato in quei momenti. Stavo ficcando quella maiala di mia nuora e nello stesso istante ammiravo il culo di mia nipote. Che cosa potevo volere più dalla vita?

Mentre scopavo mi dilettavo a baciare e succhiare le sue grosse tette. Era un piacere affondare la faccia in quella morbidezza. Mia moglie era totalmente piatta. Era la prima volta, dopo tanti anni, che potevo immergere il volto in mezzo a due meloni così gonfi. Elisabetta aveva le stesse tette della madre, ma sicuramente le sue erano più sode.



Da quel giorno la permanenza sull’isola diventò paradisiaca. Un vero eden terrestre.
Alla fine sono riuscito a sapere da mia nuora, come ha fatto quel grosso tubero di plastica ad arrivare sull’isola. Mia nuora mi confidò che il giorno dell’incidente, se ne stava nella cabina a masturbarsi con quel grosso fallo artificiale, che a causa dello shock subito, gli era rimasto dentro la fica, portandoselo dietro sull’isola. Mi rivelò che il dildo aveva sostituito suo marito. Carlo, di fatto, non la scopava da mesi. Era distratto dal lavoro, così voleva far credere, ma in cuor suo aveva intuito che se la spassava con qualche collega con le stellette troia. Per questo erano già in fase di separazione.

Angela si rivelò assatanata e perennemente affamata di cazzo. Non perdeva occasione per farsi montare, in tutte le posizioni. 
Inoltre ho apprezzato il fatto che le piaceva prenderlo nel culo. La cara nuora, in poco tempo aveva trasformato il naufragio in una vacanza di sesso estremo.

Elisabetta, che non era stupida, iniziò a sospettare qualcosa. Inoltre, avevo avuto la certezza che era stata lei a spiarmi quel giorno, e la voglia di farlo proseguì, perché in seguito, notai che si dilettava a spiarmi ancora, mentre facevo il bagno. In quelle occasioni, per accontentare la sua morbosa curiosità, lo menavo con gusto mostrandogli un cazzo duro e palpitante.

Su un’isola così piccola, prima o poi, le occasioni capitano.

Una sera, sulla spiaggia, mentre stavo attizzando il fuoco con rametti secchi, mi raggiunge Elisabetta. Nel cielo brillava una luna piena. Sembrava un lampione. La spiaggia era perfettamente illuminata.

“Guarda! Il mare riflette la luce della luna! è stupendo!
“si! È veramente incantevole”
“Ho voglia di fare un bagno! Vieni anche tu!
“No! Preferisco restare qui a godermi la serata! Tua madre dove è?
“Ha detto che stasera aveva mal di testa! È andata a dormire!

Tra me: “Meno male! Almeno per una sera mi lascerà tranquillo!

Intanto Elisabetta si era spogliata. 
Nuda, come una ninfa del mare, corse verso le onde. Era bellissima. Le sue gambe robuste saltavano agile, con lunghe falcate di estrema sensualità. Il suo corpo brillava alla luce argentea della luna. I capelli lunghissimi e neri, sparsi dal vento, sembravano ali.
Dio, quanto era bella. Mi morsi le labbra dall’emozione, mentre l’ammiravo correre sulla bianca banchigia. Poi come un delfino, la vidi vibrarsi in aria ed entrare nell’acqua. Un gesto atletico che la faceva sembrare una trapezista.


Dopo alcune bracciate, ritornò verso la riva. Uscendo dall’acqua, mi apparve come Afrodite, con i capelli bagnati e attaccarti al corpo. Lentamente si avvicinò tenendo un passo flessuoso. In considerazione che la luce della luna non colpiva l’incavo del monte di venere, da lontano appariva come un cerchio scuro. Il chiaro lunare, man mano che si avvicinava, evidenziava ogni piccolo dettaglio anatomico del suo meraviglioso corpo. Falcata dopo falcata, arrivò davanti a me. Restò in piedi, in silenzio, senza coprirsi. Poi sorridendo


“Nonno! voglio che questa notte rimanga indimenticabile!

Così dicendo si avvicinò, inginocchiandosi tra le mie gambe spalancate. Senza distogliere lo sguardo, mi osservava con un’intensità tale da farmi tremare la schiena. In me sentivo che stava per succedere qualcosa. Aveva gli occhi inchiodati su di me, di chi stava escogitando qualcosa di inaudito.

Ad un tratto la vedo allungare una mano dentro il mio succinto vestito di palma. Lo sentita razzolare fino a quando le dita si sono chiuse impossessandosi del cazzo. Appena lo ha impugnato ha sorriso, come se si fosse appropriato di qualcosa di prezioso, anche perché aveva trovato quello che cercava: Un cazzo duro e pulsante.

Con mano sicura iniziò a stimolarlo, facendo scivolare la pelle tesa lungo la massa solida.
Gli facilitai il compito liberandomi subito degli indumenti, ormai inutili.

La luce della luna illuminava il mio grembo, sul quale spiccava il nerbo, che torreggiava sotto il suo sguardo eccitato, come un grosso obelisco.

Elisabetta tremava dall’emozione. Avendo capito le difficoltà del momento, tanto per infondergli un po’ di coraggio, gli afferrai la mano e l'aiutai a masturbarmi. 
Il suo volto eccitato era bellissimo. Mi sembrava una dea. Le coronarie vacillarono davanti a tanta bellezza.

Mentre lei continuava a stimolarmi il cazzo, mi divertivo a giocare con le sue tette. Erano grosse e sode, e si tenevano su in modo meraviglioso. La pelle calda e tonica, era vellutata come la superficie di una pesca.
Quell'intimità mi aveva eccitato come uno stallone. Per cui senza tanta cortesia, con grande morbosità, mi avventai su quel giglio. 
Agivo in modo frenetico, accarezzando la schiena e poi giù, fino a stringere le rotonde e morbide natiche. Solo a toccarle mi davano delle sensazioni da brivido.
Poi d’istinto lei si abbassò e cominciò a leccarmi il cazzo. Dopo aver lavorato la cappella di lingua, con molta bravura, se la ficcò in bocca.

“Cazzo! Come sai che si fa così? Sei brava!

sorridendo:

“Ho imparato dalla mamma!
“Ci hai visti?
“Si! Ma prima l’ho vista tante volte mentre lo faceva sul quel coso di plastica!
“tu, da buona scolara, hai seguito i suoi insegnamenti! vero?
“Si alla lettera! E devo dire che dopo aver visto il tuo cazzo non pensavo ad altro!

Bella, selvaggia e spregiudicata. Mi venne una gran voglia di toccargli la fica. Allungai una mano. Il medio e l’indice affondarono facilmente dentro quella carne bollente. Che piacevole sensazione toccare la fica di mia nipote.

“E non ti sei limitata solo succhiarlo! vero?

Fu la prima volta che reagì quasi imbarazzata.

“No! L’ho usato anche lì!
“ahahahah! Meglio, così sfondo una porta aperta!

La sdraiai sulla sabbia e, come un cane, idrofobo, mi gettai su di lei, nutrendomi avido del suo giovane corpo. Leccai ogni centimetro quadrato, dalla punta dei piedi fino alla bocca. Infine concentrai le mie attenzioni sulla sua meravigliosa fica.

“Mmmm che bella fica! Ora te la mangio!
“Si iiiiii mmmm mi piace mmmm

Con la punta delle dite, presi a stimolargli le grosse labbra. Le stringevo fino ad unirle e poi le strofinavo.
La lingua proseguì il lavoro razzolando tra il clitoride ed il buco del culo. La fica di Elisabetta era naturale, pelosa e aromatizzata dai fluidi vaginali, che erano molto forti e stordivano le narici. L’odore di una fica grezza richiamava istinti atavici, doveva essere così nell’antichità. Era molto stimolante. In quel momento la mia azione era simile a quella di un animale quando lecca la fica della femmina in calore, prima di montarla. Il desiderio mi aveva reso folle. Agivo con impeto, seguendo solo gli istinti bestiali, da vero uomo della caverna, torturandogli le parti erogene,  lentamente, cuocendola a fuoco lento.

“mmmm si si mmmmm è bellissimo! Mmm sto godendo un casino mmmmm

I singulti di piacere che emetteva, incitavano il mio ardore. Succhiavo avido il clitoride, dopo averlo premuto. Sapeva di salsedine. La fica di Elisabetta era un vero santuario di piacere, una nicchia sacra, un santuario che stavo dissacrando con la mia libidine ormai senza più controllo.

Del resto era naturale che le cose andassero per quel verso, perché su una isola sperduta, in mezzo ad un oceano immenso, dove la civiltà non era mai arrivata, chi poteva dire che cosa era giusto o cosa era sbagliato? Eravamo disperati e il dolore ci aveva distrutto l’anima. 
Ritenni giusto che quel soggiorno forzato diventasse qualcosa di piacevole. E quel giorno, quando vidi mia nipote proporsi come una dolce ninfa, capì che solo il sesso poteva darci momenti di svago assoluti, attimi di felicità estremi da godere senza porsi alcun limite morale.
Gliela leccai con gusto, fino a farla godere come mai aveva fatto prima di allora. Era diventata donna su quell’isola, e come tale, era giusto che provasse i piaceri che il suo giovane corpo rivendicava.

Mi allungai sopra di lei, afferrai le tette, le leccai e le baciai per parecchi minuti. Prima di penetrarla la toccavo, la accarezzavo e la baciavo ogni singola parte. Senza trascurare alcun lembo di pelle. Poi, esaurito la gran voglia di carezze, passai alla seconda fase.

La cara nipotina aspettava trepidante, sotto di me, il momento in cui l’avrei fatta diventare una vera donna. Le sue gambe erano oscenamente spalancate; con lo sguardo eccitato mi implorava di entrare nel suo corpo, per soddisfare quella voglia di sesso che gli stava tormentando la mente.

“Si tesoro! Questa sarà una notte indimenticabile!

Il cazzo scivolò dritto dentro di lei, senza alcuna difficoltà. Il grosso vibratore aveva fatto il lavoro sporco.

“Si iiiiii mmmm come la mamma! che bello mmmmm si si
“mmmm cazzo come sei calda! Mmmmm mmmm to

Gli sollevai le gambe, e restando nella posizione del missionario, le appoggiai sulle mie braccia, e nello stesso istante facevo oscillare il bacino avanti e indietro, con gran diletto del mio cazzo che penetrava dentro di lei fino alla base dei coglioni.

Il suo corpo snello e sodo, vibrava sotto il mio, grasso e massiccio, come se lo stessi colpendo con scariche elettriche.

“si si si mmmm oddio oo godo nonno oooo mmmmm è pazzesco quello che sto sentendo mmmmmm
“mmm tesoro si chiama orgasmo! Mmmm to  to  to mmmm

I coglioni sbattevano con violenza sul perineo, la zona tra la fica e il buco del culo. Nello stesso istante avvertivo gli spasmi delle pareti vaginali che si stringevano attorno al volume del mio cazzo. Era un piacere sentire Elisabetta che si dimenava dal godimento. Mi sbizzarrì nelle posizioni più piacevoli, e tutte finalizzate a godere la vista del suo stupendo corpo, alimento succulento delle mie brame.
Sono sempre stato un patito del culo delle donne, così, mentre glielo stavo sbattendo nella fica, alla pecorina.

“Tesoro, dimmi la verità! quel coso te lo sei ficcato anche nel culo?
“Si! Ed è stato magnifico mmmm oooooo godo mmmm
“Bene! Mmm Bene mmmm

Mentre le stavo martellando la fica, considerai anche quella ipotesi, ormai il rubicondo era stato varcato in pieno, tanto valeva prendersi tutto, così iniziai a lavorargli il buco culo. Un dito, due, tre e poi quattro.

“mmmm ho le vertigini! Dio ooooo che bello ooo mmmm mi sento in delirio mmm
“ora, mia cara nipotina te lo sbatto nel culo!
“si che bello! mmmmmm mi piace? Mmm dai fallo!
“con grande piacere! Mmmm

La cappella, cosparsa con uno sputo di saliva, scivolò nello orifizio anale, senza alcuna resistenza. Gli orli del buco del culo si dilatarono facilmente come un elastico, adattandosi alle dimensioni del cazzo. Era ancora stretto, nonostante fosse stato spianato con il fallo di plastica.


“si si si mmmmmmm cazzo! Mmm mi piace ee
“Cribbio! è ancora stretto! Che delizia! Mmm to to ti spacco in due!
“si fottimi il culo! Mmmm
“Hai proprio imparato tutto! Queste parole sono quelle che grida tua madre quando glielo schiaffo nel culo! Ahahahahah
“si si! e non vedevo l’ora di pronunciarle mmmm mi piacevano mmmm quanto mi piacevano oooo nonno ti voglio un sacco di bene mmmmm
“anche io ti voglio bene! E ora se permetti ti riempio il culo di sborra!

Era uno spettacolo vertiginoso, vedere il mio cazzo scomparire tra i suoi glutei paffuti. Il fondo schiena sembrava la base di una pera. Era bello, poterlo accarezzare, mentre fremeva di piacere. Il mio cazzo scivolando nel suo culo, lo faceva tremare e godere. Le sue cosce lisce vibravano sotto i colpi secchi. Le sue ginocchia erano affondate nella sabbia. Al godimento si unì il diletto dello sguardo. Le sue tette, indotte dal movimento, oscillavano come provole appese ad una pertica, come se un vento impetuoso le stesse scuotendo.


Alla fine di quella panoramica idilliaca, l’afferrai dai fianchi stretti e mi disposi con le ginocchia piantate saldamente nella sabbia, per poter dare gli ultimi colpi in sequenza continua. L’impeto fu tale da provocare ulteriori lunghi e acuti singulti di piacere; quindi, spinto dall’orgasmo in arrivo, pressai il grembo contro le sue bellissime natiche, e tenendo il cazzo piantato profondamente dentro il suo sfintere, mi abbandonai ad una copiosa e spessa sborrata.
Gli chiavai il buco del culo, per parecchi minuti, prima che il cazzo si afflosciasse dentro di lei. Quando lo rimossi, comparve una voragine oscena, completamente slabbrata e impregnata di sperma, che colava tra le labbra della fica.

Mi lasciai cadere esausto sulla sabbia.
Solo allora mi accorsi di Angela, che in piedi stava fissandoci basita e incazzata.

Dopo la sfuriata di gelosia, durata per alcuni giorni, tutto ritornò come prima.
I giacigli si erano uniti in unico letto, nel quale ci riunivamo ogni giorno, in un piacevole incontro a tre, per il mio estremo diletto.

Da quel giorno, come disse il sommo poeta: “il naufragar m’é dolce in questo mare”

Restammo sull’isola per altri dieci anni. I soccorridori, appena ci videro, credettero di trovarsi davanti una tribù indigena. Il nucleo familiare, nel frattempo, era cresciuto di cinque elementi, due maschi e tre femminucce.

Così va la vita.

Guzzon59


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